giovedì 13 ottobre 2011

FILOSOFIA (SPICCIOLA) DELL'HYPE



La gratificazione e la soddisfazione che riesce a darti un trailer di un film in arrivo é indescrivibile.
Personalmente ne faccio incetta in maniera piú o meno scriteriata; d'altro canto viviamo un mondo precipitoso dove ci siamo trasformati fisiologicamente in animaletti perennemente affamati che trangugiano di tutto, continuamente.
Se penso al mio mondo, le mie passioni, la mia weltanschauung, il mio utilizzo dello spazio e del tempo, fino a qualche anno fa, quasi non mi riconosco. Sono un altro.
Una manciata di fumetti, qualche libro, riviste basilari (non piú di dieci), un paio di videogiochi imprescindibili.
Ora di fumetti ne compro a centinaia. E le altee migliaia che "mancano" li scarico spudoratamente. Ma ne leggo sempre una quindicina al mese, come prima.
Di libri ne compro come prima ma ora scarico le anteprime per iPad da iBooks (a proposito: era ora, eh!?)oppure(sempre scrupolosammente, per caritá) li scarico direttamente interi. Ma sempre quelli che leggevo prima leggo adesso.
Le riviste basilari sono sempre quelle di prima (in primis Internazionale), ma ora ce ne sono mille di piú, sul cinema, la letteratura, i fumetti, la fotografia, le arti, la politica, i videogiochi, le tecnologie, le scienze, le curiositá... e le altre mille... si, mi scarico pure quelle.
Prima un videogioco lo compravo dopo averci sbavato un po' leggendone sulla rivista preferita. Ora, tra PS3/360/Wii/iPad... scarico continiamente demo su demo e mi bastano (e avanzano) questi.
Risultato: ultimo gioco davvero finito, credo, Unchated 2... Se si considera che tra un mese esce il terzo episodio allora...

Troppe cose da fare e cosí poco tempo...
Ma questo non è un post di riflessione sulle piccole/grandi cose della vita, ne un grido disperato, ne una sorta di corso accelerato di qualunquismo applicato.
No.

In realtà mi sono messo a scrivere 'ste righe perché ho visto questo. E questo.
E ho sbavato. Parecchio.

Hype irrefrenabile, soprattutto per il film su Poe.
Pensa tu, eh?

martedì 11 ottobre 2011

SULLE BELLE TESTE CHE PROPRIO NON RIUSCIAMO A TENERE



Stefano Gualeni, è evidente, ha un gran bel cervello.
E' fondamentalmente un game designer e, visto il lavoro che si è scelto, la sua brillante e innovativa apertura mentale e l'essere italiano ha pensato bene di emigrare.
Infatti, il suo gioco per PC Tony Tough fu pubblicato dall'americana Got Game Entertainment.

Appunto.

Tra poco uscirà il nuovo gioco ideato da Gualeni per iPad, Gua-Le-Ni, un titolo che se andrete a vedere il trailer di presentazione vi apparirà improvvisamente comprensibile (e vi farà capire che non si tratta certo di un caso di presuntuoso egotismo, tutt'altro).

Le meccaniche del gioco sembrano interessanti e certamente lo è il concept, ai limiti del geniale.
Roba di un italiano.
Che venderanno gli americani.

lunedì 10 ottobre 2011

SU UN ROMANO MASCHERATO DI FINE OTTOCENTO E UN COMMENTO LUSINGHIERO




Sabato è uscito il numero 1 di Shanghai Devil, ultima fatica di Gianfranco Manfredi e sequel di Volto Nascosto.
Giustappunto stamattina è stata pubblicata la mia recensione del fumetto su mangaforever, recensione entusiasta (come si può evincere anche senza leggerla e saltando direttamente al voto, un 9 pieno).

Manfredi si conferma autore completo, di grande complessità ed ineguagliabile capacità immersiva nello scenario scelto di volta in volta (in questo caso la Cina tra fine Ottocento ed inizio Novecento, durante il periodo della Rivolta dei Boxers).
Ci piace, ci piace molto. Già non vedo l'ora che esca il secondo numero...

Come tra l'altro ci piace un commento di Luca Boschi ad un mio articolo che potete trovare qui.
Per chi non lo sapesse Boschi è un importante critico e studioso del fumetto (specializzato sul fumetto Disney) che collabora (anche) con Il Sole 24 Ore e recentemente ha scritto un gustoso articolo per la bella rivista digitale (concepita appositamente per iPad) La Vita Nova del quotidiano di Confindustria dove affronta diversi argomenti molto interessanti.
Senza che mi inoltro troppo (di nuovo, visto che potete leggere il mio articolo in questione qui) sulle tematiche dello scritto del Boschi e sulla rivista di cui sopra in generale, chiudo solo ammettendo che la citazione di un personaggio come Boschi mi ha fatto molto piacere, nonostante il copia/incolla abbastanza spudorato...

E poi, a proposito di cose che mi piacciono, credo di non aver mai parlato di uno dei siti più interessanti a livello contenutistico che si possano trovare in giro per la rete.
Il sito si chiama mattscape e non è nient'altro che il blog di un personaggio noto agli appassionati di videogiochi (e forse anche a quelli di cinema, visti i suoi articoli per il mensile I Duellanti): Matteo Bittanti.

Il Bittanti, che ora è un ricercatore universitario di un certo livello (visto che collabora con l'università di Stanford ed infatti vive negli Stati Uniti) divenne un mito per molti di noi (oggi trentacinquenni/quarantenni) grazie ai suoi fantastici commenti/riflessioni/perle di saggezza sul meraviglioso Zzap! (e se non sapete di cosa sto parlando vi prego di non seguire mai più il mio blog, grazie), dove era noto con la sigla MBF (che si scoprì poi essere l'acronimo di "Matteo Bittanti il Filosofo").

Il suo sito è una continua fonte di meraviglie ed articoli illuminanti, dove il Nostro parla di tutto, in primis tecnologie e videogiochi, ma anche cinema o telefilm, e sempre con uno sguardo "filosofico", cercando di contestualizzare, a livello sociale, politico, antropologico e così via gli argomenti trattati.
Per capire meglio di cosa sto parlando vi consiglio di dargli un'occhiata, magari cominciando da un articolo paradigmatico come questo.
Bittanti collabora comunque anche con Wired, perciò vi può capitare di leggere i suoi pezzi anche in altri contesti.

lunedì 2 maggio 2011

HANNO AMMAZZATO BIN LADEN



Ma Bush sembrerebbe essere ancora vivo.

giovedì 28 aprile 2011

PORELLO...




Esce in Italia Open, la biografia di Andre Agassi che è stata tanto apprezzata (non solo dal pubblico) nei Paesi che l'hanno pubblicata finora.
A leggere questo stralcio che propone Repubblica si capisce anche il perché.
Sembra interessante.

E poi cita i fumetti...

martedì 26 aprile 2011

IL FIGLIO DI UN GENIO NON PUO' NON ESSERE UN GENIO




Quando Vale mi regalò Il Manuale per Sopravvivere agli Zombie di Max Brooks ricordo benissimo la sensazione di assoluta felicitá che mi attanagliò.
Brooks e Zombie sulla copertina dello stesso libro edito addirittura da Einaudi sommati alla sorpresa generata dal trovarmi un qualcosa di cui non sapevo sorprendentemente l'esistenza era sinceramente troppo anche per me...
Divorai il libro e me lo godei fino all'ultima pagina: è stato probabilmente il testo che ho più propagandato nella mia vita, tant'è che col tempo ho scoperto, non senza un po' di meraviglia, che molte persone da me lontanissime (se non addirittura a me ignote) lo avevano comprato su mio indiretto suggerimento (ah, il potere del passaparola...).

Max Brooks è il figlio di Mel, il regista.
E' un esperto di zombie e con i suoi libri sull'argomento ha avuto molto successo in tutto il mondo.
E questi libri (tra cui il Manuale di cui sopra è l'esempio più famoso), scritti in modo godibile e leggibile, sono originalissimi perché impostati come veri e propri testi scientifici: dei manuali, appunto, che danno per scontata l'esistenza dei morti viventi e ne raccontano le cause e le origini, aiutano a sopravvivere ad eventuali attacchi, ne raccontano le testimonianze (??!!?) storiche, andando a studiare anche reperti di passati remoti che ne provano l'esistenza.
Cercando materiale per un articolo che stavo scrivendo stanotte per Mangaforever (a proposito, era sul primo romanzo di prossima uscita ambientato nel mondo di The Walking Dead...), sono incappato su questa breve intervista al suddetto Brooks.
Io non so che ne pensate, ma secondo me quest'uomo è un genio.
Come il padre.

lunedì 18 aprile 2011

SUGLI EISNER 2011 E DIABOLICI PROGETTI





Una decina di giorni fa sono uscite le nomination per gli Eisner Awards 2011 (potete leggerle qui).
L'idea è questa: leggere tutto quello che è stato candidato (tranne, magari, le storie per bambini...).
Viste le candidature c'è di che divertirsi. E infatti ho già cominciato a leggere qualcosina e subito sono rimasto piacevolmente colpito da una delle storie candidate come miglior miniserie: Baltimore: The Plague Ships, del grande Mike Mignola.
Storia di vampiri ambientata negli anni della Prima Guerra Mondiale si fa leggere molto piacevolmente ed è disegnata benissimo da un "allievo" del Sommo, il bravo Golden che si mostra quasi all'altezza del Mignola (certo, quel quasi può nascondere profondi abissi ma è già qualcosa, visto il confronto...).
Promossa a pieni voti.
Restate sintonizzati per recensioni più dettagliate di questo progetto (un po' folle, lo so, ma tant'è...)

ARIDAJE CO' WALKING DEAD...




Che dire.
Ho finito di leggere tutti i numeri che mi mancavano della serie (ed ora sono esattamente allineato con le uscite americane) e l'opinione rimane la stessa dell'inizio: entusiasta.
Anzi, se possibile, dopo quasi 90 uscite, ancora di più...

Eh si, dai, The Walking Dead è LA serie per eccellenza, la migliore uscita negli ultimi dieci anni senza dubbio.
Il saggio equilibrio che riesce a mantenere Kirkman è impressionante per fantasia e struttura narrativa e complessità dei personaggi.
Rick è veramente un personaggio epocale.

Avrei voglia di raccontarvi un sacco di roba ma non posso, perché una serie così non può essere raccontata: deve essere letta.
Serie che si fa divorare. Non posso più stare senza. Non vedo l'ora che esca il nuovo numero.


Voto: 10

giovedì 7 aprile 2011

PDL + LEGA = INADEGUATEZZA




Da lontano le cose appaiono più chiare.
In questi giorni non fanno altro che allarmarci per gli sbarchi a Lampedusa (e ieri, tra l'altro, è successo quel che è successo): invece di preoccuparsi per questi poveri disgraziati che scappano da guerre o semplicemente da quella che credono essere una situazione di miseria e povertà, però, la paventata preoccupazione è per noi, cittadini italiani, che dobbiamo stare all'erta, in guardia, contro l'invasione dal sud del mondo, noi che siamo l'avamposto della cultura occidentale.
Ma le cose non stanno davvero così.

A leggere un interessante articolo come quello del basco Gorka Larrabeiti su Rebelion, certi numeri che vengono snocciolati fanno riflettere.
Ovviamente vi consiglio di andare a leggere l'articolo (in spagnolo), ma due numeri voglio riportarli anch'io, giusto per chiarire:
437257 persone sono scappate dalla Libia per la guerra. Di queste 217763 sono andate in Tunisia. 174049 in Egitto. Circa 20000 in Italia. Ventimila.
Robetta, scrive giustamente Larrabeiti, se si azzarda un confronto con altri crisi affronatate dal nostro paese in altri tempi, con altri governi: 200000 persone arrivate dal Kosovo, 140000 dalla Serbia e lo stesso numero dalla Somalia durante le tristi recenti guerre che colpirono quelle zone.
Crisi affrontate con forza, coraggio, organizzazione e brillantemente superate.
Sembrano passati mille anni.
Ma è successo l'altro ieri.

"Italia, desde la crisis debida a la “guerra humanitaria” en Kosovo, contaba con aparato legal para afrontar una situación similar. Podían haber concedido protecciones temporales a los prófugos, y se podía haber seguido poniendo en práctica el “modelo Lampedusa” de acogida de migrantes. Sin embargo, ahora ha sido la Liga Norte, que no sólo cuenta con varios ministros en el gobierno italiano sino que resulta fundamental para que Berlusconi mantenga la mayoría parlamentaria, quien dictaba la línea política oficial. Este partido de larga tradición xenófoba no puede abandonar su discurso anti-inmigrantes porque perdería consenso, así que para afrontar esta crisis migratoria ha propuesto ideas tan peligrosas como “ejércitos regionales”, y ha proferido mensajes tan ordinarios contra los migrantes como “foera di ball” (literalmente “fuera de las pelotas”), o “cerrar el grifo y vaciar la piscina”."

Si, è vero.
A volte le cose appaiono più chiare se viste da lontano.

mercoledì 6 aprile 2011

SILVIO FOREVER




Occasione sprecatissima.
Ed ennesima dimostrazione del fatto che Faenza è un mediocre.

Silvio Forever avrebbe potuto essere un gran bel documentario: scritto dagli autori de La Casta (Rizzo e Stella), con un po' di materiale inedito, nelle sale nel momento migliore tra i (numerosi) "magic moments" offertici dal Nostro Comico, aveva tutte le carte in regola per essere accolto trionfalmente.
Invece è una bufala.

Superficiale, noiosetto, montato male, concepito peggio.
Non aggiunge una virgola a tutto quello che tutti noi già sappiamo, per averlo già visto, letto, sentito.

Che poi, quel "noi" si riferisce ovviamente ai soliti noti: i (sembra) 5 milioni di italiani che leggono libri riviste e quotidiani, frequentano le librerie, vanno al cinema e a teatro.
Gli stessi, soliti, 5 milioni.

I coglioni, come pensa Lui.


Voto: 4 1/2

E SE DOVESSI AMMETTERE CHE MI PIACCIONO I FILM ITALIANI?




... forse comincereste a pensar davvero male del sottoscritto?
Che devo dire (a mia difesa)?
Dopo aver elogiato La Vita Facile, mi scappa proprio un altro bel giudizio per quest'altro Nessuno Mi Può Giudicare con la Cortellesi.
Altra roba, sia chiaro (il film con Favino è davvero un ritorno alla commedia italiana di una volta, godibilmente agrodolce nel far ridere a denti stretti sulle nostre immancabili idiosincrasie di italiani "brava gente"), ma tanta roba, dai!

Un filmetto, certo, ma con queste peculiarità non da poco:
1) fa ridere;
2) è intelligente pur essendo assolutamente pop;
3) c'è la Cortellesi;
4) riesce a far sembrare Raul Bova meno imbecille del solito;
5) alcuni cameo sono esilaranti.
Penso tutto ciò possa bastare per promuoverlo in scioltezza.

Comunque, piccola nota a margine: sembra, finalmente, che l'era cinepanettonianadesichianalaurentianaparentiana stia per finire.
L'ultimo Amici Miei è andato maluccio (così come, prima di lui, il natale sudafricano): che la gente, hai visto mai, si sia veramente stufata e cominci davvero a preferire film più intelligenti e, quantomeno, con un minimo di scrittura dietro?
Volesse dio...

Voto: 7

SIGNOR NESSUNO




Rivisitazione del vecchio classico Uomo Invisibile.
Un uomo misteriosamente ricoperto su tutto il corpo di bende come una mummia finisce in uno sperduto e monotono paesino della provincia americana, Large Mouth.
Dopo essersi rintanato in una camera dell'unico alberghetto locale, il tizio (che se ne va in giro conciato in quel modo e oltretutto non è nemmeno particolarmente "comunicativo") comincerà a far parlare di se i paesani.
Solo la giovane sedicenne Vickie, incuriosita dall'uomo bendato, proverà ad instaurare un rapporto con lo straniero, permettendo la nascita di una bella amicizia tra i due.
Ma la situazione sarà destinata a precipitare drammaticamente, non solo per colpa di alcuni abitanti del paesino ma anche per una serie di strani eventi...

Autore emergente del comicon americano (le sue storie, compresa questa, sono pubblicate dalla Vertigo), il canadese Jeff Lemire si sta dimostrando un autore sufficientemente apprezzabile.
Autore completo, si fa decisamente preferire ai testi (alcuni suoi disegni sembrano infatti addirittura dilettanteschi), ma non mi sembra ancora davvero maturo per un mercato così importante come quello delle graphic novel.
Ciononostante, sembra essere il suo momento: già candidato ad un Eisner Award, ha vinto comunque diversi premi e la sua ultima opera (Sweet Tooth, tuttora in corso negli USA) sembra stia avendo un discreto successo.
Proprio Sweet Tooth, curiosa storia di freaks pubblicata sempre da Vertigo, sta modestamente catturando la mia attenzione in questi giorni: la sto seguendo senza particolari emozioni ma devo comunque ammettere che si tratta di un'opera quantomeno abbastanza coraggiosa nella sua stranezza (ne scriverò sicuramente una volta terminata) e sicuramente migliore di questo Uomo Invisibile contemporaneo, leggera metafora sulla paura, i sensi di colpa, il rapporto con gli Altri.
Dai, niente di che.


Voto: 6

martedì 5 aprile 2011

THE WALKING DEAD




Giusto perché ho molto tempo a disposizione (...), mi sono messo a rileggere The Walking Dead.
Da capo.
In inglese.
Sono giusto arrivato lì dove mi ero fermato prima che trasmettessero il pilot della serie della Fox (quindi intorno al trentesimo albo originale) e, manco a dirlo, nonostante conosca bene la storia, la lettura rimane clamorosamente avvincente.
E' la struttura portante che rende The Walking Dead un gran fumetto: i personaggi sono tutti ben definiti, complicati, strutturati (appunto).
Non succede mai niente di particolarmente originale o entusiasmante o sorprendente in TWD (anche se ogni albetto offre un'ultima splash-page con un piccolo colpo di scena che fa venire tanta tanta voglia di leggere l'episodio successivo...), ma è il "come" a rendere la storia entusiasmante.
Gli zombie rimangono lì, sullo sfondo, presenza costante dell'incubo quotidiano ma anche penosamente sofferenti (forse è per questo, constata uno dei personaggi, che si lamentano di continuo).
E il mondo è cambiato, è arrivata l'apocalisse, ma l'uomo si adatta alle circostanze e continua a vivere, nonostante tutto.

Una seconda lettura permette sempre di approfondire particolari che erano un po' sfuggiti la prima volta.
E in un'opera come TWD servirebbe un saggio per provare a snocciolarli tutti.
Due cose, però, mi hanno fatto riflettere: Rick è un personaggio incredibile, difficile, bellissimo: quando fa a cazzotti con Tyreese e gli sputa addosso tutto quello che si era tenuto dentro fino a quel momento vorresti abbracciarlo.
Altra cosa: tra i disegni di Tony Moore e quelli di Charlie Adlard c'è un abisso. Quelli del primo sono assolutamente migliori.
Ma poi ci si abitua al tratto e si apprezza anche il "normale" Adlard: TWD è un grande fumetto anche per questo.

No, ragazzi, fatevi un favore: recuperate questo fumetto e leggetevelo. Se vi siete avvicinati all'universo TWD solo tramite la serie (un po' così, diciamolo, e non a caso con una linea narrativa molto lontana da quella originale della graphic novel) non lasciatevi depistare e fidatevi di me, vi prego.
The Walking Dead è fantastico. Tutta un'altra cosa.

A presto per gli aggiornamenti (con voto finale che, per ora, rimane ovviamente un 9 pieno): sono usciti ad oggi 84 numeri.
Continuando con questo ritmo per questo fine settimana li ho letti tutti.

venerdì 1 aprile 2011

TERRE LONTANE




Ecco, un autore che mi piace molto è Luiz Eduardo de Oliveira, detto Leo.
Questo brasiliano, autore di bande dessinée molto conosciuto in Francia (e tradotto qui da noi sia dai tipi dell'Eura che dalla Planeta), è dotato di una fantasia sorprendente.
Quella, per capirci, che stuzzica la nostra immaginazione e sazia in qualche modo i nostri appetiti fantascientifici.
Un autore, quindi, un po' d'altri tempi.
Non un gran sceneggiatore, obiettivamente, ma un discreto disegnatore, vicino per gusto e sensibilità alla ligne claire d'oltralpe.
Di lui si conoscono soprattutto i tre cicli di Aldebaran, Betelgeuse e Antares, storie fantascientifiche piene zeppe di elementi fantasiosissimi ambientate in pianeta lontani e misteriosi.
Grazie al suo tratto definito, sintetico ed efficace Leo riesce ogni volta a catapultarti in un'alterità godibile e divertente (e a volte, perché no, persino inquietante...).
Non conoscevo invece questa sua (recente) collaborazione con il disegnatore Icar, "Terres Lointanes", uscito in Francia grazie a Dargaud a partire dal marzo del 2009 (fin'ora tre volumi, l'ultimo dei quali è dell'ottobre 2010).
Un fumetto che vede Leo "solo" alla sceneggiatura non catturava di certo la mia attenzione in maniera particolare, soprattutto perché Icar, a differenza del brasiliano, ha un tratto più sporco, duro.
Naturalmente i due hanno smentito le mie pessimistiche aspettative.

Terre Lointanes narra l'odissea del giovane Paul, sbarcato con la mamma e la sorellina sul remoto pianeta Altair 3, lontano angolo di galassia abitato da gente poco raccomandabile.
Il padre non si presenta all'appuntamento all'aeroporto e, da quel momento, Paul non riesce a darsi pace inseguendolo per il pianeta, aiutato da vari personaggi che incontra durante i suoi avventurosi spostamenti.
Storia leggerina, è vero, ma zeppa dei soliti coup de theatre alla Leo, qui coadiuvato da un magnifico (davvero, senza esagerazioni) Icar, che si mette umilmente al servizio della fantasia dell'autore sudamericano: i due insieme riescono a realizzare una bella storia che magari non ha pretese altissime ma nel contempo riesce senza problemi a divertire e appassionare.
Ce ne fossero, di fumetti così...

Aspetto il quarto volume e consiglio, per ora, la lettura a tutti di questi tre, anche se non esiste (per ora) la traduzione italiana.

Voto: 8

sabato 19 marzo 2011

Papá

Papá, se anche tu non fossi il mio
papá, se anche fossi a me un estraneo,
fra tutti quanti gli uomini già tanto
pel tuo cuore fanciullo t'amerei.

martedì 15 marzo 2011

NUCLEARE NO NUCLEARE NO

Stasera Crozza , tramite la sua copertina di Ballaró, ha ricordato laconicamente le reazioni dei piú importanti governi europei alla disgrazia giapponese ed i rischi dovuti a imprevedibili calamità naturali per il nucleare.
Il trait d'union é che tutti cominciano a pensare sia meglio lasciar perdere.
Il nostro governo invece continua a dire che va tutto bene e continua imperterrito col suo programma per il si al nucleare.
Incredibile.

Qualcuno un giorno ha scritto "ostinandosi a voler controllare il tempo, se ne perde soltanto".

Si potrebbe traslare il pensiero alla natura.
Se dovessimo perdere tutto, sarebbe solo colpa nostra.
E di nessun altro.
Attenti ragassuoli...

ASTRO




Fumetto 'nuff said di Nils Hamm pubblicato dalla Image, "Astro" dimostra ancora una volta le enormi (e probabilmente sottovalutate) capacità comunicative del fumetto.

Non è niente di che, ma mi ha fatto pensare a quanto poco venga davvero sviluppato il potenziale di un mezzo espressivo così potente: il fumetto forse riesce ad essere ancor più potente del cinema stesso.
Certo, è di difficile maneggiabilità, ma nelle mani giuste può creare mondi immaginifici ineguagliabili.

Astro non è eccezionale, ma è prorompente nella sua straordinaria semiotica.
Proprio come, appunto, dovrebbe essere il fumetto.
Sempre.

Voto: 7

lunedì 14 marzo 2011

LOMM



In un mondo desolato, in un tempo (forse) remoto, preistorico (o, chissà, lontano perché futuro, post-apocalittico), la vita è violenta e senza alcun significato.
Demoni predatori vivono rintanati su alberi altissimi e spogli, difendendosi continuamente dai proprio simili e altri animali perennemente affamati, disperati.
I demoni più forti sono i volanti ed il loro campione è Kral, il più crudele di tutti.
La compagna di Kral partorisce tre figli ed uno di loro, sorprendentemente, è un umanoide.
Lei vorrebbe ucciderlo subito, darlo in pasto ai cani rognosi che aspettano sul terreno che qualcuno cada da un albero per divorarlo, ma Kral decide di farlo vivere: anche se gli umanoidi sono deboli vuole dargli la possibilità di sopravvivere.
E, infatti, il piccolo ce la farà. Anche a scapito dei suoi fratellini.
Si farà chiamare Lomm, storpiatura di l'homme (l'uomo, in francese), e questo fumetto racconta la sua storia.
Una storia di formazione, quindi, tra episodi di incredibile violenza, squartamenti e carni lacerate.
Crescendo Lomm, ripudiato dalla banda dei suoi amici (essendo lui, comunque, un "diverso") deciderà di unirsi a una tribù di uomini e comincerà così ad imparare la pietà, la solidarietà, l'organizzazione sociale e la divisione dei compiti.

Strano fumetto, questo "Lomm".
Di difficile catalogazione, fuori dagli schemi.
Come detto violentissimo (a tal punto che è corretto sconsigliarlo agli animi particolarmente sensibili), ma potente e ben strutturato.
Lomm, nonostante i suoi silenzi, è un personaggio affascinante, ben costruito.
Quando incontra la tribù (che diventerà la sua) le sue reazioni sono plausibili e il suo faticoso percorso di crescita riesce a coinvolgerci.
Il fumetto, edito dalla Vents d'Ouest, non è stato tradotto in italiano (l'ho letto in francese) ma vale la pena avventurarsi nella lettura: l'ho trovato una piccola perla, quanto meno per l'originalità.
Anche i disegni (che rispettano i tratti caratteristici delle bande dessinée) sono stuzzicanti e certamente funzionali alla storia (ne potete avere una piccola prova dall'immagine sopra).

Insomma, vi consiglio di provare a cercarlo (e su questo non dico altro, vi basti sapere che l'ho letto sul mio ipad... a buon intenditor...) ma mi raccomando: preparatevi a qualcosa di diverso e se non amate le scene cruenti lasciate perdere.

P.s.: ve lo consiglio se il cartone di Bem il mostro umano vi ha sconvolto la fanciullezza. Anche se Lomm è moltooooo più violento, ne condivide una certa inquietudine di fondo che ti attanaglia subdolamente... fate voi.

Voto: 7/8

IL GIOCO DELLA SETTIMANA 2: MARIO KART WII



Mi è capitato, in passato, di esprimere la mia enorme ammirazione per mamma Nintendo e la sua "differenza".
In questi giorni, avendo dei problemi con la 360, la mia solita alternanza con la PS3 va a vantaggio della Wii, e con l'occasione ho rispolverato qualche vecchio gioco raramente giocato.
Tra questi, Mario Kart.
Ho infilato il disco nella console, ho giocato, ho rigiocato, ho ririgiocato...
Insomma, non ho più smesso. E il bello è che non ho intenzione di farlo!

La Nintendo difference è tutta in questa giochi, classici senza tempo: divertentissimi, calibratissimi, coloratissimi, giocabilissimi.
Per uno come me che non ha mai amato i giochi di guida è strano adorare un gioco di corse di gocart, ma i giochi Nintendo sono sempre qualcosa in più e il loro divertimento trascende i generi e le categorie.
I percorsi a disposizione sono fantastici e con la possibiltà di giocare in rete il gioco diventa praticamente perfetto.
Infinito.

Voto: 10+

IL GIOCO DELLA SETTIMANA: AGE OF STEAM




Quando cominciai questo blog, poco più di un anno fa, pensai tra me e me che l'avrei utilizzato anche per far conoscere il mondo dei boargames.
Il primo vero post di edevavede era infatti su Puerto Rico, il sommo gioco da tavolo paradigma, ancora oggi, dei giochi per adulti.

Poi però i miei (buoni) propositi sono scemati: è molto più facile scrivere recensioni sui film o i fumetti che ricordarsi di parlare dell'ultimo boargame provato.
Stessa cosa è successa coi videogames: altra grande passione (certamente meno bisognosa di pubblicità) di cui cominciai a scrivere ben volentieri ma che poi, col tempo, riposi in un cassetto.

Per cercare di rimediare a queste mancanze e dare un'ulteriore necessaria strutturazione al mio blog ho ben pensato di proporre una rubrica settimanale: ne "Il Gioco della Settimana" ogni lunedì parlerò di un boardgame oppure di un videogioco, senza particolari distinzioni tra i due.
E, per ben cominciare e giusta par condicio, inizierò col recensire, questa prima settimana, sia un gioco da tavolo che uno da console.
Cominciamo con Age of Steam di Martin Wallace.

Wallace è una specie di guru del gioco da tavolo, amato e stimato dagli appassionati di tutto il mondo.
Questo suo ferroviario è sempre stato uno dei giochi più considerati (sono anni che rimane stabilmente nelle prime posizioni della classifica di boargamegeek), ma nonostante il suo grande successo l'ho scoperto solo da poco.

Definirlo un ferroviario è però piuttosto improprio: infatti Age of Steam risulta essere più che altro un gioco economico/finanziario con la tematica dei treni assolutamente pretestuosa.
E' un gioco di piazzamento che scala, sembrerebbe, molto bene e che ha la pregorativa di essere particolarmente "cattivo": una partita ad AOS, infatti, è ricca di bastardate e colpi di scena, vista la grande interazione che la mappa offre ai giocatori e la corsa sfrenata alla ricerca del possesso di quella linea piuttosto che di un'altra.
Il gioco è molto difficile da spiegare (potete trovare comunque un'accurata recensione esplicativa, come al solito, sulla tana dei goblin) ma una volta appreso non troppo complicato da giocare.
Lo consiglio però solo a giocatori assidui, visto che bisogna stare attenti ad una miriade di elementi e, se si parte male, è molto difficile recuperare: quindi attenti, se lo comprate e volete provare a giocarci cercate, se possibile, di giocarci con altri neofiti, altrimenti rischierete brutte figure affrontando giocatori più esperti...

AOS è quel che si può definire un capolavoro nel suo genere: ben strutturato, complicato ma non impossibile, divertente, interattivo, mai noioso (anche se c'è il rischio di essere eliminati per bancarotta prima della fine della partita...), cattivo.
Come detto scala molto bene, ma credo il numero perfetto di giocatori sia 3/4.
I materali sono molto belli ed andando avanti nel gioco l'effetto visivo offerto dalla mappa è molto suggestivo, con tutti quei trenini colorati ad occupare territori selvaggi dei neonati Stati Uniti.
AOS è immersivo come pochi altri giochi: ti da veramente l'illusione di essere un tycoon di frontiera che cerca di allargare il più possibile i suoi territori e le sue linee ferroviarie.
Molto bello e consigliato.

Voto: 8 1/2

THE LAST STATION




"Tutte le famiglie felici si somigliano; ogni famiglia infelice è invece disgraziata a modo suo".
L'incipit più bello della storia della letteratura è questo di "Anna Karenina" che comincia con i disappori tra moglie e marito e la scoperta dell'adulterio.
Tolstoj fu un grande, uno tra i più grandi della storia, un Illuminato.
La sua vita fu ricca e la sua influenza sociale e culturale fu decisiva nell'evolversi socio-politico della Russia tra la fine dell'Ottocento e l'inizio del Novecento.
Morì in un modo molto "cinematografico".

Decidi di fare un film sui suoi ultimi giorni di vita, i burrascosi rapporti con la moglie, l'amicizia con Chertkov e il giovane intellettuale Valentin Bulgakov.
Chiami come attori Christopher Plummer, Helen Mirren, Paul Giamatti e James McAvoy e cosa combini?
Fai una film che definire di merda è un'offesa verso la protagonista della scatologia?

Un film insulso, davvero. E molto stupido.
Lev Tolstoj si merita ben altro.

Voto: 3

TURA SATANA




Personaggio curioso Tura Satana.
Nippo americana figlia di un attore di film muti e di una contorsionista, era mezza giapponese e mezza cherokee.
Viso da giapponese e grosse tette praticava il karate (che aveva imparato, ahimè, dopo essere stata violentata da cinque balordi).
Fu una delle prostitute di "Irma la Dolce" e divenne un mito fondamentalmente per un solo film: "Faster, Pussycat! Kill! Kill!" di Russ Meyer (e non poteva essere diversamente, vista la sua morfologia fisica...).
Ovviamente è un altro dei miti di Tarantino, che provò a convincerla a lavorare insieme; lei non accettò, avendo lasciato da un bel po' la scena e ritiratasi a vita privata.
Icona dell'exploitation se ne è andata il 4 febbraio scorso.
Aveva 73 anni. Era giusto ricordarla.

QUEST'UOMO E' UN GENIO.ANZI, UN MAGO.




Quest'anno non ho commentato gli Oscar (probabilmente ci tornerò).
Non è stata un'edizione, comunque, particolarmente eccezionale o epocale (molto brava la Hathway come co-conduttrice mentre ha fatto una figuraccia il fattone James Franco. Fantastico Kirk Douglas, eccezionale quasi centenario! Per il resto, poco e niente), ma una cosa importante è successa: Rick Baker ha vinto il suo settimo (!!??!!) premio Oscar!
L'ha preso per quella cagata squallidamente ridicola di Wolfman, ma quando c'è Baker al trucco tutto il resto conta relativamente...
Ogni volta questo sessantenne ti stupisce clamorosamente: pensate al lupo mannaro americano a Londra e l'incredibile trasformazione, al Professore Matto con Eddie Murphy, ai suoi Men in Black, al Grinch, ai morti di "The Ring", a Hellboy...
No, è impossibile: questo ha fatto un patto col diavolo: il suo non è make-up, è magia pura!
Sette Oscar, sinceramente, sono pochi.

I RAGAZZI STANNO BENE




In California due lesbiche, all'inizio degli anni Dieci del Duemila, sono mamme di due ragazzi di diciott'anni.
In Italia si discute ancora sul "pericolo" della famiglia "non tradizionale" e si fanno manifestazioni contro i gay.
E' un altro mondo e sembra anche un'altra epoca.
A me fa solo rabbia.

"I Ragazzi Stanno Bene" è un film molto ben riuscito diretto dalla (fino ad oggi) sconosciuta Lisa Cholodenko.
Lesbica dichiarata, ha una figlia concepita da un donatore anonimo di sperma e cresce la figlia insieme alla sua compagna, una musicista californiana.
Il suo film è, quindi, particolarmente sentito, vista l'appartenenza di certe tematiche.
Annette Bening e Julianne Moore (bravissime) si amano e hanno costruito insieme una famiglia solida ed equilibrata.
Hanno due figli, concepiti entrambi grazie ad un donatore di sperma.
Mia Wasikowska (l'Alice di Tim Burton), la più grande, è una giovane intellettuale appassionata di scienze e Scarabeo che vive la sua adolescenza con fiera e serena consapevolezza.
Josh Hutcherson è altrettanto maturo e sereno, ma leggermente più ombroso, meno cerebrale, sportivo.
Nonostante le (normale, fisiologiche) idiosincrasie delle due mamme i ragazzi stanno bene, sani e con i giusti valori.

Il tranquillo menage famigliare incorniciato dalla pacatezza dei paesaggi dolcemente soleggiati della California verrà sconvolto con l'entrata in scena del padre biologico (un sorprendente Mark Ruffalo), stanato dai due ragazzi per una giustificata e naturale curiosità.
Ma le debolezze o presunte incertezze verranno superate con facilità dalla famiglia, che resterà unita ed affiatata nonostante i dubbi e le perplessità.

Film onesto, tranquillo, lineare.
Ma da vedere per la serenità che riesce a trasmettere ed i temi che affronta: non di certo sulla famiglia "disfunzionale" (come osano definirla i malpensanti, quelli veri e bigotti che si nascondono dietro la loro miserrima ipocrisia), ma sulla famiglia tout court, l'importanza dell'amore e del restare uniti.
A volte può sembrare impossibile, ma se non ci facciamo prendere dalla paura ce la si può fare davvero.
E la vita, credo, vale proprio la pena di essere vissuta.

Voto: 7

giovedì 10 marzo 2011

SE QUESTO E' UN CAMPIONE




Quando Javier Zanetti segna bacia la maglia.
Quando segna Ibrahimovic se la leva e fa vedere i tatuaggi oppure apre le braccia come a dire "ho segnato IO".
Ibrahimovic quando cambia squadra dice che nessuna è come quella dove è finito. Per poi andarsene con strafottenza e ricominciare il giro.
Ibrahimovic non vuole compararsi a Van Basten (!?!) perché "non si possono paragonare le leggende".
Ma intanto Ibrahimovic non ha mai superato gli ottavi di Champions (con la Juve l'Inter il Barca il Milan) e non è mai stato decisivo.

Ibrahimovic fa il padrone nel giardinetto di casa sua (il campionato italiano).
Ma è un egocentrico sopravalutato che può vincere gli scudetti giusto da noi (infatti in Spagna ha miseramente fallito), nella mediocrità del campionato italico.
Ha ragione La Gazzetta di oggi: ci fosse stato Inzaghi oggi il Milan era ai quarti.
Imparasse da lui, lo zingaro, cosa significa essere un Campione.

THE SOCIAL NETWORK




Piccoli attori crescono.
E lo fanno bene.
"The Social Network" è passato come il film meglio scritto degli ultimi mesi: Oscar alla sceneggiatura, dialoghi eccitanti, ritmo calibrato.
Ma secondo me questo bel film non è (solo) questo: è soprattutto il film di Jesse Eisenberg, Andrew Garfield, Justin Timberlake.
Garfield (il prossimo Peter Parker/Spider-Man) è promettentissimo, forse ancora poco maturo ma, con l'esperienza, tutto da scoprire.
Justin Timberlake è semplicemente fantastico, un genio dei nostri tempi: cantante e ballerino sublime quando recita sembra non aver fatto altro nella vita. Da applausi, fossi un (ricco) regista lo chiamerei sempre.
Ma il migliore è Eisenberg, che interpreta Mark Zuckerberg, l'inventore di Facebook.
Questo ragazzino con la faccia da nerd mi aveva incuriosito in Zombieland dove faceva l'antieroe al contrario, ma in "The Social Network" è eccezionale.
Gioca di sottrazione ed esprime nell'immobilità e il minimalismo: è imperscrutabile e indecifrabile ma nei suoi occhi percepisci la tempesta.
Un bravo attore che probabilmente ha il fisico da caratterista ma se sarà bravo nel giocarsi le sue carte ad Hollywood raggiungerà livelli altissimi.
Un tipo da seguire.

Comunque il film merita. E se Zuckerberg è davvero così abbiamo fatto arricchire un altro stronzo.

Voto: 8

IL DISCORSO DEL RE



Ammetto di avere un debole per Colin Firth.
Ho tifato spudoratamente per lui agli Oscar (così come l'anno scorso per il suo bellissimo "A Single Man". A proposito, l'ho rivisto l'altro giorno: ma che bel film che ha fatto Tom Ford!) e il vederlo uscire vincitore mi ha fatto molto piacere.

Premesso questo, "Il Discorso del Re" è un film dignitoso.
Ben scritto, ben diretto, ben recitato.
Bei costumi, scenografie adeguate.
Non sembra avere particolari difetti.
Ma paradossalmente è proprio questo il suo problema: è un film "troppo" riuscito perché è "troppo" ben costruito e, quindi, furbo.
L'Accademy, come spesso accade, l'ha premiato.
Ma francamente non è un film da Oscar.
Lascia qualche traccia di se negli occhi dello spettatore. Ma nessuna nel cuore.
(Dis)onesto.

Voto: 7-

IL GRINTA




Ok, ammettiamolo: "Il Grinta" col Duca era una cazzatuccia.
Paragonandolo a questo dei Coen fa proprio la figura del filmetto.
Non che Jeff Bridges sia peggio di John Wayne (anzi... anche se il drugo non doppiato in un film western è spettacolare), ma quest'ultima versione è tutta un'altra cosa.
Ormai è chiaro: i fratelli Coen amano prendere i generi classici e reinventarli a modo loro.
Noir, commedia, western: i due prendono, impastano, infornano. E quello che esce è fragrante come l'originale, ma con quel qualcosa di diverso che non è azzardato definire "originale".

Comunque ne "Il Grinta" dei Coen ci sono tutti i topoi del caso: paesaggi sconfinati e cangianti, sparatorie a cavallo, sputazzate e sigarette arrotolate.
Ma potete trovarvi anche elementi inquietanti e spiazzanti, quasi horror, come l'impiccato o il medico che appare come dal nulla con la pelle d'orso.
Film di ricerca e rielaborazione, forse leggermente al di sotto delle aspettative, ma comunque Grande Cinema.

Voto: 8 1/2

LA VITA FACILE




Sorpresa sorpresa: al cinema c'è un bel film italiano.
Una bella commedia.
Scritta bene, recitata meglio.
Che fa sorridere con intelligenza, a volte di pancia altre volte a denti stretti.
Un film riuscito.

Stefano Accorsi, che di solito trovo insopportabile, sembra invece sguazzare bene nella commedia e in alcuni momenti è davvero bravo e convincente (vedi la litigata/sfuriata con Favino).
Stecco/Vittoria Puccini è una bella sorpresa.
Pierfrancesco Favino è un mostro. Nel senso che è proprio un fenomeno.

Il film è girato benissimo e ti accompagna volentieri a un finale tanto amaro quanto sorprendente.
I tre sono tre stronzi. Sono italiani. W Alberto Sordi e W "La vita facile": potrebbe essere un bell'inizio per tornare ai fasti di un tempo.
Consigliato.

Voto: 8

EASY GIRL




Film Tv, il settimanale di cinema, ha stroncato questo film.
Strano, perché io al contrario l'ho trovato fichissimo.
E' la solita storiella dell'emarginata di un liceo statunitense.
Non che sia bruttina (tutt'altro), o timida (tutt'altro): è solo che è una ragazza anticonformista cresciuta da due genitori intelligenti che si trova costretta in un ambiente liceale che la mortifica quotidianamente, tra gruppetti bacchettoni/fanatici (e ipocriti) di convinta fede cristiana, amiche tettone spaesate stupide e un po' mignotte, amici gay in un momento di svolta della loro difficile vita e le solite imbecillerie infantili che tempestano le scuole americane (come le nostre poi, d'altra parte).
Prendendo come spunto "La lettera scarlatta" di Hawthorne che sta leggendo insieme allo splendido (e bambacione) insegnante di letteratura, la ragazzina col pretesto di un malinteso si finge mignottona (da qui il titolo ragazza facile, anche se quello originale era easy A, simpatico gioco di parole tra la facilità di prendere bei voti, la suddetta lettera scarlatta e il darla a destra e manca), creando situazioni ilari che sfocieranno in un finale omaggio dei film anni Ottanta.
Ed è proprio questo omaggiare un certo tipo di cinematografia di quart'ordine con cui siamo cresciuti noi trentenni/quarantenni di oggi a rendere il filmetto particolarmente godibile e gradito: "Easy girl" è il vero trait d'union con un certo tipo di cinema oggi giustamente rivalutato che aveva il suo campione nella figura del (compianto) John Hughes e il suo brat pack.
"The breakfast club" o "Una pazza giornata di vacanza", per intendersi (film che tra l'altro la protagonista cita durante uno dei suoi spassosi monologhi).
Ecco, Emma Stone (a proposito, fantastica. Un mito) è la Molly Ringwald dei nostri tempi.
E per chi ha visto almeno una trentina di volte "Un compleanno da ricordare" non c'è complimento migliore.

Voto: 8

IN UN MONDO MIGLIORE




Sperando che possa davvero diventare, questo, un mondo (sempre) migliore dovreste comunque cominciare il cammino per realizzarlo facendovi un grosso favore: recuperare tutti i film di Susanne Bier.
"Non desiderare la donna d'altri" e "Dopo il matrimonio" sono due opere sorprendenti che non poterete non amare.
E la stessa cosa, ne sono sicuro, vi capiterà vedendo quest'ultimo della Nostra, "In un mondo migliore", Golden Globe e premio Oscar quest'anno come miglior film straniero.
Essendo la Bier danese i suoi film sono sempre strutturalmente freddi e distaccati, come i suoi personaggi, ma hanno una specie di substrato di passione, angoscia, paura, forti sentimenti, che cozza con l'apparente glacialità dello sguardo primario.
E' questo cortocircuito a creare un'alchimia irresistibile nei suoi film: tutto sembra distante ma poi ti attanaglia fortissimamente costringendoti in un'alternanza di emozioni straordinarie che ti trascinano come un vortice verso sorprendenti esplorazioni dell'animo umano.
"In un mondo migliore" (attenzione, il titolo originale in danese è "Vendetta". Vedendo il film capirete) ne è, appunto, l'ennesima conferma.
Un film che (sembra) giochi di sottrazioni invece tende a dilatarsi a bout de souffle, fino all'ultimo respiro, pronto ad esplodere da un momento all'altro.
E' come una corda che sembra tendersi all'infinito senza spezzarsi mai. E lo spettatore è l'equilibrista che cammina su quella corda e che guarda l'orlo del precipizio.
Non vedere un film come questo significa non volersi bene.

Voto: 10

giovedì 3 marzo 2011

CAPITANO MIO CAPITANO


Fin'ora era il film marvel meno convincente (purtroppo, perché Capitan America é da sempre il mio personaggio preferito della Casa delle Idee).

Fin'ora peró.
Perché questa fotina qui di Hugo Weaving Tescho Rosso mi piace da morire.
Con un villain cosí cambia tutto in un secondo.

lunedì 28 febbraio 2011

L'ETERNAUTA




La prima (ed unica) volta che lessi "L'Eternauta" avevo poco più di dodici anni.
Ovviamente non ci capii nulla ma mi rimase lo stesso dentro.
Ancora oggi ne ricordo lucidissimamente diverse vignette.

Negli anni naturalmente ho letto parecchie cosette su questo capolavoro assoluto del fumetto, l'historieta per eccellenza.
E tanto mi ha colpito un articolo che apparve su un numero di Internazionale uscito un paio di anni fa dove si raccontava la tristissima storia del creatore del fumetto, Héctor German Oesterheld, morto desaparecido durante la dittatura dei generali e a cui ammazzarono quattro figlie.
Per aver scritto un fumetto.
Per aver scritto "questo" fumetto.

Ora i tipi della 001 usciranno con questa edizione definitiva.
Esiste un modo migliore di spendere 40 euro?

TASSATIVAMENTE




Titolo bellissimo per una mostra, a Roma, dedicata al grande Sergio Toppi.
Da non perdere.
Tassativamente.

LADRI DI CADAVERI





John Landis è tornato.
Forse, come ha scritto qualcuno, un po' arrugginito. Ma è tornato.
"Ladri di cadaveri" è un film di citazioni, ambientazioni, u(a)mori.
Il vecchio John prende una storiella semplice semplice (tra l'altro ben nota in Gran Bretagna) ambientata in una tetra e sudicia Edimburgo di inizio Ottocento e ci ricama sopra tirandoci fuori il classico film "gustoso".
Per molti ma (attenzione) non per tutti.
Come al solito nel caso del Nostro questo è anche e soprattutto un film di attori: oltre naturalmente la deliziosa coppia Pegg/Serkis tutti sono meravigliosi, soprattutto i (soliti) camei landisiani, in primis quello di un vecchiaccio in splendida forma (vedere per credere, e capire...).
I momenti da black comedy (come si evince dalle due fotine che ho postato) sono assolutamente di primissimo livello e le autocitazioni vi faranno spuntare spesso sorridi maliziosi se avete visto tutti i film di Landis.
Su tutte una a sfondo sessuale che ricorda "lo sguardo" di un personaggio delle vignette di Vauro e "Una Poltrona per Due" (?!?... chi lo capisce vince un busto in resina del lupo mannaro americano a Londra...)
Però, va da se, un film così si assapora solo se si ama "quel" certo cinema e lo si conosce bene altrimenti (e mi sforzo tanto tanto per essere il più obiettivo possibile) rimane un filmetto che non ha molto da dire.
Però cavolo: come si va a non ridere quando arrivano Wordsworth e Coleridge alla locanda!!

Voto: 8+

venerdì 25 febbraio 2011

COME LO SAI... CHE UN FILM E' RIUSCITO?




... forse lo capisci quando percepisci almeno lo sforzo dell'autore di fare qualcosa di diverso, di uscire dai canoni della commedia sentimentale all'americana pur rimanendone fedele.
Come lo sai mi è piaciuto per questo.
Non è niente di trascedentale, sia chiaro, ma è ormai evidente che i film di Brooks si sforzano, appunto, di essere altro e diverso percorrendo i facili sentieri di un genere così piacevolmente abusato. Fu così (clamorosamente) per Voglia di Tenerezza, per Qualcosa è cambiato e (soprattutto) per Spanglish (la migliore interpretazione di quello sbilenco attore che è Adam Sandler).
Tu sai (come non è importante, lo sai e basta) che Paul Rudd e cartoon (con quella faccia un po' così...) Witherspoon si amano, ma cerchi anche tu (come loro) di scoprire in che modo. Esattamente.
E nel percorso (poco lineare, da cui la particolare originalità) ti aiutano il talento comico di Owen Wilson e la monumentalità di Jack Nicholson.
E quando (sai che ) i due salgono su quell'autobus li lasci andare per la loro strada, un po' più contento per aver fatto quel pezzo di strada insieme a loro.

Voto: 7 1/2

A CHI PIACE IL BALLETTO?




Scarpette Rosse è uno dei film più belli che abbia mai visto (ma d'altra parte è così per tutti i film della fantastica coppia Powell/Pressburger).
Save the Last Dance invece è una grossa stronzata.
Questo per dire che la danza è un ottimo soggetto cinematografico: paradigma del corpo che si fa (da) cinema, sangue pieghe e sofferenza mostrata/ostentata in un contesto scenografico assolutamente plausibile.
Ma anche che non tutti i film sulla danza possono (ri)uscire bene.
Black Swan è un film sulla danza totcourt. Ed è riuscitissimo.
Correva probabilmente il rischio troppo facile di essere autocompiacente (visto il tema e l'ultimo bel film di Aronofsky, The Wrestler), ma non è andata così.
La danza metafora come sacrificio estremo, ragione di vita che va oltre la stessa (come il cinema stesso d'altronde) e tema del doppio che riesce ad autoreferenziarsi in un metacinema che scruta se stesso attraverso la (senza mezzi termini) immensa interpretazione della fantastica Natalie Portman.
Black Swan ci trascina sul palco come pochi altri film prima di questo, costringendoci a vivere la fatica della preparazione sublimata dall'atto unico e irripetibile alla ricerca di una perfezione sancita da un applauso scrosciante.
Buona la prima. Niente repliche. Così per sempre.
Come il cinema. Più del cinema.

Gran bel film, ma Vale l'ha detestato. Quindi...
Voto: 8(-)