sabato 19 marzo 2011

Papá

Papá, se anche tu non fossi il mio
papá, se anche fossi a me un estraneo,
fra tutti quanti gli uomini già tanto
pel tuo cuore fanciullo t'amerei.

martedì 15 marzo 2011

NUCLEARE NO NUCLEARE NO

Stasera Crozza , tramite la sua copertina di Ballaró, ha ricordato laconicamente le reazioni dei piú importanti governi europei alla disgrazia giapponese ed i rischi dovuti a imprevedibili calamità naturali per il nucleare.
Il trait d'union é che tutti cominciano a pensare sia meglio lasciar perdere.
Il nostro governo invece continua a dire che va tutto bene e continua imperterrito col suo programma per il si al nucleare.
Incredibile.

Qualcuno un giorno ha scritto "ostinandosi a voler controllare il tempo, se ne perde soltanto".

Si potrebbe traslare il pensiero alla natura.
Se dovessimo perdere tutto, sarebbe solo colpa nostra.
E di nessun altro.
Attenti ragassuoli...

ASTRO




Fumetto 'nuff said di Nils Hamm pubblicato dalla Image, "Astro" dimostra ancora una volta le enormi (e probabilmente sottovalutate) capacità comunicative del fumetto.

Non è niente di che, ma mi ha fatto pensare a quanto poco venga davvero sviluppato il potenziale di un mezzo espressivo così potente: il fumetto forse riesce ad essere ancor più potente del cinema stesso.
Certo, è di difficile maneggiabilità, ma nelle mani giuste può creare mondi immaginifici ineguagliabili.

Astro non è eccezionale, ma è prorompente nella sua straordinaria semiotica.
Proprio come, appunto, dovrebbe essere il fumetto.
Sempre.

Voto: 7

lunedì 14 marzo 2011

LOMM



In un mondo desolato, in un tempo (forse) remoto, preistorico (o, chissà, lontano perché futuro, post-apocalittico), la vita è violenta e senza alcun significato.
Demoni predatori vivono rintanati su alberi altissimi e spogli, difendendosi continuamente dai proprio simili e altri animali perennemente affamati, disperati.
I demoni più forti sono i volanti ed il loro campione è Kral, il più crudele di tutti.
La compagna di Kral partorisce tre figli ed uno di loro, sorprendentemente, è un umanoide.
Lei vorrebbe ucciderlo subito, darlo in pasto ai cani rognosi che aspettano sul terreno che qualcuno cada da un albero per divorarlo, ma Kral decide di farlo vivere: anche se gli umanoidi sono deboli vuole dargli la possibilità di sopravvivere.
E, infatti, il piccolo ce la farà. Anche a scapito dei suoi fratellini.
Si farà chiamare Lomm, storpiatura di l'homme (l'uomo, in francese), e questo fumetto racconta la sua storia.
Una storia di formazione, quindi, tra episodi di incredibile violenza, squartamenti e carni lacerate.
Crescendo Lomm, ripudiato dalla banda dei suoi amici (essendo lui, comunque, un "diverso") deciderà di unirsi a una tribù di uomini e comincerà così ad imparare la pietà, la solidarietà, l'organizzazione sociale e la divisione dei compiti.

Strano fumetto, questo "Lomm".
Di difficile catalogazione, fuori dagli schemi.
Come detto violentissimo (a tal punto che è corretto sconsigliarlo agli animi particolarmente sensibili), ma potente e ben strutturato.
Lomm, nonostante i suoi silenzi, è un personaggio affascinante, ben costruito.
Quando incontra la tribù (che diventerà la sua) le sue reazioni sono plausibili e il suo faticoso percorso di crescita riesce a coinvolgerci.
Il fumetto, edito dalla Vents d'Ouest, non è stato tradotto in italiano (l'ho letto in francese) ma vale la pena avventurarsi nella lettura: l'ho trovato una piccola perla, quanto meno per l'originalità.
Anche i disegni (che rispettano i tratti caratteristici delle bande dessinée) sono stuzzicanti e certamente funzionali alla storia (ne potete avere una piccola prova dall'immagine sopra).

Insomma, vi consiglio di provare a cercarlo (e su questo non dico altro, vi basti sapere che l'ho letto sul mio ipad... a buon intenditor...) ma mi raccomando: preparatevi a qualcosa di diverso e se non amate le scene cruenti lasciate perdere.

P.s.: ve lo consiglio se il cartone di Bem il mostro umano vi ha sconvolto la fanciullezza. Anche se Lomm è moltooooo più violento, ne condivide una certa inquietudine di fondo che ti attanaglia subdolamente... fate voi.

Voto: 7/8

IL GIOCO DELLA SETTIMANA 2: MARIO KART WII



Mi è capitato, in passato, di esprimere la mia enorme ammirazione per mamma Nintendo e la sua "differenza".
In questi giorni, avendo dei problemi con la 360, la mia solita alternanza con la PS3 va a vantaggio della Wii, e con l'occasione ho rispolverato qualche vecchio gioco raramente giocato.
Tra questi, Mario Kart.
Ho infilato il disco nella console, ho giocato, ho rigiocato, ho ririgiocato...
Insomma, non ho più smesso. E il bello è che non ho intenzione di farlo!

La Nintendo difference è tutta in questa giochi, classici senza tempo: divertentissimi, calibratissimi, coloratissimi, giocabilissimi.
Per uno come me che non ha mai amato i giochi di guida è strano adorare un gioco di corse di gocart, ma i giochi Nintendo sono sempre qualcosa in più e il loro divertimento trascende i generi e le categorie.
I percorsi a disposizione sono fantastici e con la possibiltà di giocare in rete il gioco diventa praticamente perfetto.
Infinito.

Voto: 10+

IL GIOCO DELLA SETTIMANA: AGE OF STEAM




Quando cominciai questo blog, poco più di un anno fa, pensai tra me e me che l'avrei utilizzato anche per far conoscere il mondo dei boargames.
Il primo vero post di edevavede era infatti su Puerto Rico, il sommo gioco da tavolo paradigma, ancora oggi, dei giochi per adulti.

Poi però i miei (buoni) propositi sono scemati: è molto più facile scrivere recensioni sui film o i fumetti che ricordarsi di parlare dell'ultimo boargame provato.
Stessa cosa è successa coi videogames: altra grande passione (certamente meno bisognosa di pubblicità) di cui cominciai a scrivere ben volentieri ma che poi, col tempo, riposi in un cassetto.

Per cercare di rimediare a queste mancanze e dare un'ulteriore necessaria strutturazione al mio blog ho ben pensato di proporre una rubrica settimanale: ne "Il Gioco della Settimana" ogni lunedì parlerò di un boardgame oppure di un videogioco, senza particolari distinzioni tra i due.
E, per ben cominciare e giusta par condicio, inizierò col recensire, questa prima settimana, sia un gioco da tavolo che uno da console.
Cominciamo con Age of Steam di Martin Wallace.

Wallace è una specie di guru del gioco da tavolo, amato e stimato dagli appassionati di tutto il mondo.
Questo suo ferroviario è sempre stato uno dei giochi più considerati (sono anni che rimane stabilmente nelle prime posizioni della classifica di boargamegeek), ma nonostante il suo grande successo l'ho scoperto solo da poco.

Definirlo un ferroviario è però piuttosto improprio: infatti Age of Steam risulta essere più che altro un gioco economico/finanziario con la tematica dei treni assolutamente pretestuosa.
E' un gioco di piazzamento che scala, sembrerebbe, molto bene e che ha la pregorativa di essere particolarmente "cattivo": una partita ad AOS, infatti, è ricca di bastardate e colpi di scena, vista la grande interazione che la mappa offre ai giocatori e la corsa sfrenata alla ricerca del possesso di quella linea piuttosto che di un'altra.
Il gioco è molto difficile da spiegare (potete trovare comunque un'accurata recensione esplicativa, come al solito, sulla tana dei goblin) ma una volta appreso non troppo complicato da giocare.
Lo consiglio però solo a giocatori assidui, visto che bisogna stare attenti ad una miriade di elementi e, se si parte male, è molto difficile recuperare: quindi attenti, se lo comprate e volete provare a giocarci cercate, se possibile, di giocarci con altri neofiti, altrimenti rischierete brutte figure affrontando giocatori più esperti...

AOS è quel che si può definire un capolavoro nel suo genere: ben strutturato, complicato ma non impossibile, divertente, interattivo, mai noioso (anche se c'è il rischio di essere eliminati per bancarotta prima della fine della partita...), cattivo.
Come detto scala molto bene, ma credo il numero perfetto di giocatori sia 3/4.
I materali sono molto belli ed andando avanti nel gioco l'effetto visivo offerto dalla mappa è molto suggestivo, con tutti quei trenini colorati ad occupare territori selvaggi dei neonati Stati Uniti.
AOS è immersivo come pochi altri giochi: ti da veramente l'illusione di essere un tycoon di frontiera che cerca di allargare il più possibile i suoi territori e le sue linee ferroviarie.
Molto bello e consigliato.

Voto: 8 1/2

THE LAST STATION




"Tutte le famiglie felici si somigliano; ogni famiglia infelice è invece disgraziata a modo suo".
L'incipit più bello della storia della letteratura è questo di "Anna Karenina" che comincia con i disappori tra moglie e marito e la scoperta dell'adulterio.
Tolstoj fu un grande, uno tra i più grandi della storia, un Illuminato.
La sua vita fu ricca e la sua influenza sociale e culturale fu decisiva nell'evolversi socio-politico della Russia tra la fine dell'Ottocento e l'inizio del Novecento.
Morì in un modo molto "cinematografico".

Decidi di fare un film sui suoi ultimi giorni di vita, i burrascosi rapporti con la moglie, l'amicizia con Chertkov e il giovane intellettuale Valentin Bulgakov.
Chiami come attori Christopher Plummer, Helen Mirren, Paul Giamatti e James McAvoy e cosa combini?
Fai una film che definire di merda è un'offesa verso la protagonista della scatologia?

Un film insulso, davvero. E molto stupido.
Lev Tolstoj si merita ben altro.

Voto: 3

TURA SATANA




Personaggio curioso Tura Satana.
Nippo americana figlia di un attore di film muti e di una contorsionista, era mezza giapponese e mezza cherokee.
Viso da giapponese e grosse tette praticava il karate (che aveva imparato, ahimè, dopo essere stata violentata da cinque balordi).
Fu una delle prostitute di "Irma la Dolce" e divenne un mito fondamentalmente per un solo film: "Faster, Pussycat! Kill! Kill!" di Russ Meyer (e non poteva essere diversamente, vista la sua morfologia fisica...).
Ovviamente è un altro dei miti di Tarantino, che provò a convincerla a lavorare insieme; lei non accettò, avendo lasciato da un bel po' la scena e ritiratasi a vita privata.
Icona dell'exploitation se ne è andata il 4 febbraio scorso.
Aveva 73 anni. Era giusto ricordarla.

QUEST'UOMO E' UN GENIO.ANZI, UN MAGO.




Quest'anno non ho commentato gli Oscar (probabilmente ci tornerò).
Non è stata un'edizione, comunque, particolarmente eccezionale o epocale (molto brava la Hathway come co-conduttrice mentre ha fatto una figuraccia il fattone James Franco. Fantastico Kirk Douglas, eccezionale quasi centenario! Per il resto, poco e niente), ma una cosa importante è successa: Rick Baker ha vinto il suo settimo (!!??!!) premio Oscar!
L'ha preso per quella cagata squallidamente ridicola di Wolfman, ma quando c'è Baker al trucco tutto il resto conta relativamente...
Ogni volta questo sessantenne ti stupisce clamorosamente: pensate al lupo mannaro americano a Londra e l'incredibile trasformazione, al Professore Matto con Eddie Murphy, ai suoi Men in Black, al Grinch, ai morti di "The Ring", a Hellboy...
No, è impossibile: questo ha fatto un patto col diavolo: il suo non è make-up, è magia pura!
Sette Oscar, sinceramente, sono pochi.

I RAGAZZI STANNO BENE




In California due lesbiche, all'inizio degli anni Dieci del Duemila, sono mamme di due ragazzi di diciott'anni.
In Italia si discute ancora sul "pericolo" della famiglia "non tradizionale" e si fanno manifestazioni contro i gay.
E' un altro mondo e sembra anche un'altra epoca.
A me fa solo rabbia.

"I Ragazzi Stanno Bene" è un film molto ben riuscito diretto dalla (fino ad oggi) sconosciuta Lisa Cholodenko.
Lesbica dichiarata, ha una figlia concepita da un donatore anonimo di sperma e cresce la figlia insieme alla sua compagna, una musicista californiana.
Il suo film è, quindi, particolarmente sentito, vista l'appartenenza di certe tematiche.
Annette Bening e Julianne Moore (bravissime) si amano e hanno costruito insieme una famiglia solida ed equilibrata.
Hanno due figli, concepiti entrambi grazie ad un donatore di sperma.
Mia Wasikowska (l'Alice di Tim Burton), la più grande, è una giovane intellettuale appassionata di scienze e Scarabeo che vive la sua adolescenza con fiera e serena consapevolezza.
Josh Hutcherson è altrettanto maturo e sereno, ma leggermente più ombroso, meno cerebrale, sportivo.
Nonostante le (normale, fisiologiche) idiosincrasie delle due mamme i ragazzi stanno bene, sani e con i giusti valori.

Il tranquillo menage famigliare incorniciato dalla pacatezza dei paesaggi dolcemente soleggiati della California verrà sconvolto con l'entrata in scena del padre biologico (un sorprendente Mark Ruffalo), stanato dai due ragazzi per una giustificata e naturale curiosità.
Ma le debolezze o presunte incertezze verranno superate con facilità dalla famiglia, che resterà unita ed affiatata nonostante i dubbi e le perplessità.

Film onesto, tranquillo, lineare.
Ma da vedere per la serenità che riesce a trasmettere ed i temi che affronta: non di certo sulla famiglia "disfunzionale" (come osano definirla i malpensanti, quelli veri e bigotti che si nascondono dietro la loro miserrima ipocrisia), ma sulla famiglia tout court, l'importanza dell'amore e del restare uniti.
A volte può sembrare impossibile, ma se non ci facciamo prendere dalla paura ce la si può fare davvero.
E la vita, credo, vale proprio la pena di essere vissuta.

Voto: 7

giovedì 10 marzo 2011

SE QUESTO E' UN CAMPIONE




Quando Javier Zanetti segna bacia la maglia.
Quando segna Ibrahimovic se la leva e fa vedere i tatuaggi oppure apre le braccia come a dire "ho segnato IO".
Ibrahimovic quando cambia squadra dice che nessuna è come quella dove è finito. Per poi andarsene con strafottenza e ricominciare il giro.
Ibrahimovic non vuole compararsi a Van Basten (!?!) perché "non si possono paragonare le leggende".
Ma intanto Ibrahimovic non ha mai superato gli ottavi di Champions (con la Juve l'Inter il Barca il Milan) e non è mai stato decisivo.

Ibrahimovic fa il padrone nel giardinetto di casa sua (il campionato italiano).
Ma è un egocentrico sopravalutato che può vincere gli scudetti giusto da noi (infatti in Spagna ha miseramente fallito), nella mediocrità del campionato italico.
Ha ragione La Gazzetta di oggi: ci fosse stato Inzaghi oggi il Milan era ai quarti.
Imparasse da lui, lo zingaro, cosa significa essere un Campione.

THE SOCIAL NETWORK




Piccoli attori crescono.
E lo fanno bene.
"The Social Network" è passato come il film meglio scritto degli ultimi mesi: Oscar alla sceneggiatura, dialoghi eccitanti, ritmo calibrato.
Ma secondo me questo bel film non è (solo) questo: è soprattutto il film di Jesse Eisenberg, Andrew Garfield, Justin Timberlake.
Garfield (il prossimo Peter Parker/Spider-Man) è promettentissimo, forse ancora poco maturo ma, con l'esperienza, tutto da scoprire.
Justin Timberlake è semplicemente fantastico, un genio dei nostri tempi: cantante e ballerino sublime quando recita sembra non aver fatto altro nella vita. Da applausi, fossi un (ricco) regista lo chiamerei sempre.
Ma il migliore è Eisenberg, che interpreta Mark Zuckerberg, l'inventore di Facebook.
Questo ragazzino con la faccia da nerd mi aveva incuriosito in Zombieland dove faceva l'antieroe al contrario, ma in "The Social Network" è eccezionale.
Gioca di sottrazione ed esprime nell'immobilità e il minimalismo: è imperscrutabile e indecifrabile ma nei suoi occhi percepisci la tempesta.
Un bravo attore che probabilmente ha il fisico da caratterista ma se sarà bravo nel giocarsi le sue carte ad Hollywood raggiungerà livelli altissimi.
Un tipo da seguire.

Comunque il film merita. E se Zuckerberg è davvero così abbiamo fatto arricchire un altro stronzo.

Voto: 8

IL DISCORSO DEL RE



Ammetto di avere un debole per Colin Firth.
Ho tifato spudoratamente per lui agli Oscar (così come l'anno scorso per il suo bellissimo "A Single Man". A proposito, l'ho rivisto l'altro giorno: ma che bel film che ha fatto Tom Ford!) e il vederlo uscire vincitore mi ha fatto molto piacere.

Premesso questo, "Il Discorso del Re" è un film dignitoso.
Ben scritto, ben diretto, ben recitato.
Bei costumi, scenografie adeguate.
Non sembra avere particolari difetti.
Ma paradossalmente è proprio questo il suo problema: è un film "troppo" riuscito perché è "troppo" ben costruito e, quindi, furbo.
L'Accademy, come spesso accade, l'ha premiato.
Ma francamente non è un film da Oscar.
Lascia qualche traccia di se negli occhi dello spettatore. Ma nessuna nel cuore.
(Dis)onesto.

Voto: 7-

IL GRINTA




Ok, ammettiamolo: "Il Grinta" col Duca era una cazzatuccia.
Paragonandolo a questo dei Coen fa proprio la figura del filmetto.
Non che Jeff Bridges sia peggio di John Wayne (anzi... anche se il drugo non doppiato in un film western è spettacolare), ma quest'ultima versione è tutta un'altra cosa.
Ormai è chiaro: i fratelli Coen amano prendere i generi classici e reinventarli a modo loro.
Noir, commedia, western: i due prendono, impastano, infornano. E quello che esce è fragrante come l'originale, ma con quel qualcosa di diverso che non è azzardato definire "originale".

Comunque ne "Il Grinta" dei Coen ci sono tutti i topoi del caso: paesaggi sconfinati e cangianti, sparatorie a cavallo, sputazzate e sigarette arrotolate.
Ma potete trovarvi anche elementi inquietanti e spiazzanti, quasi horror, come l'impiccato o il medico che appare come dal nulla con la pelle d'orso.
Film di ricerca e rielaborazione, forse leggermente al di sotto delle aspettative, ma comunque Grande Cinema.

Voto: 8 1/2

LA VITA FACILE




Sorpresa sorpresa: al cinema c'è un bel film italiano.
Una bella commedia.
Scritta bene, recitata meglio.
Che fa sorridere con intelligenza, a volte di pancia altre volte a denti stretti.
Un film riuscito.

Stefano Accorsi, che di solito trovo insopportabile, sembra invece sguazzare bene nella commedia e in alcuni momenti è davvero bravo e convincente (vedi la litigata/sfuriata con Favino).
Stecco/Vittoria Puccini è una bella sorpresa.
Pierfrancesco Favino è un mostro. Nel senso che è proprio un fenomeno.

Il film è girato benissimo e ti accompagna volentieri a un finale tanto amaro quanto sorprendente.
I tre sono tre stronzi. Sono italiani. W Alberto Sordi e W "La vita facile": potrebbe essere un bell'inizio per tornare ai fasti di un tempo.
Consigliato.

Voto: 8

EASY GIRL




Film Tv, il settimanale di cinema, ha stroncato questo film.
Strano, perché io al contrario l'ho trovato fichissimo.
E' la solita storiella dell'emarginata di un liceo statunitense.
Non che sia bruttina (tutt'altro), o timida (tutt'altro): è solo che è una ragazza anticonformista cresciuta da due genitori intelligenti che si trova costretta in un ambiente liceale che la mortifica quotidianamente, tra gruppetti bacchettoni/fanatici (e ipocriti) di convinta fede cristiana, amiche tettone spaesate stupide e un po' mignotte, amici gay in un momento di svolta della loro difficile vita e le solite imbecillerie infantili che tempestano le scuole americane (come le nostre poi, d'altra parte).
Prendendo come spunto "La lettera scarlatta" di Hawthorne che sta leggendo insieme allo splendido (e bambacione) insegnante di letteratura, la ragazzina col pretesto di un malinteso si finge mignottona (da qui il titolo ragazza facile, anche se quello originale era easy A, simpatico gioco di parole tra la facilità di prendere bei voti, la suddetta lettera scarlatta e il darla a destra e manca), creando situazioni ilari che sfocieranno in un finale omaggio dei film anni Ottanta.
Ed è proprio questo omaggiare un certo tipo di cinematografia di quart'ordine con cui siamo cresciuti noi trentenni/quarantenni di oggi a rendere il filmetto particolarmente godibile e gradito: "Easy girl" è il vero trait d'union con un certo tipo di cinema oggi giustamente rivalutato che aveva il suo campione nella figura del (compianto) John Hughes e il suo brat pack.
"The breakfast club" o "Una pazza giornata di vacanza", per intendersi (film che tra l'altro la protagonista cita durante uno dei suoi spassosi monologhi).
Ecco, Emma Stone (a proposito, fantastica. Un mito) è la Molly Ringwald dei nostri tempi.
E per chi ha visto almeno una trentina di volte "Un compleanno da ricordare" non c'è complimento migliore.

Voto: 8

IN UN MONDO MIGLIORE




Sperando che possa davvero diventare, questo, un mondo (sempre) migliore dovreste comunque cominciare il cammino per realizzarlo facendovi un grosso favore: recuperare tutti i film di Susanne Bier.
"Non desiderare la donna d'altri" e "Dopo il matrimonio" sono due opere sorprendenti che non poterete non amare.
E la stessa cosa, ne sono sicuro, vi capiterà vedendo quest'ultimo della Nostra, "In un mondo migliore", Golden Globe e premio Oscar quest'anno come miglior film straniero.
Essendo la Bier danese i suoi film sono sempre strutturalmente freddi e distaccati, come i suoi personaggi, ma hanno una specie di substrato di passione, angoscia, paura, forti sentimenti, che cozza con l'apparente glacialità dello sguardo primario.
E' questo cortocircuito a creare un'alchimia irresistibile nei suoi film: tutto sembra distante ma poi ti attanaglia fortissimamente costringendoti in un'alternanza di emozioni straordinarie che ti trascinano come un vortice verso sorprendenti esplorazioni dell'animo umano.
"In un mondo migliore" (attenzione, il titolo originale in danese è "Vendetta". Vedendo il film capirete) ne è, appunto, l'ennesima conferma.
Un film che (sembra) giochi di sottrazioni invece tende a dilatarsi a bout de souffle, fino all'ultimo respiro, pronto ad esplodere da un momento all'altro.
E' come una corda che sembra tendersi all'infinito senza spezzarsi mai. E lo spettatore è l'equilibrista che cammina su quella corda e che guarda l'orlo del precipizio.
Non vedere un film come questo significa non volersi bene.

Voto: 10

giovedì 3 marzo 2011

CAPITANO MIO CAPITANO


Fin'ora era il film marvel meno convincente (purtroppo, perché Capitan America é da sempre il mio personaggio preferito della Casa delle Idee).

Fin'ora peró.
Perché questa fotina qui di Hugo Weaving Tescho Rosso mi piace da morire.
Con un villain cosí cambia tutto in un secondo.