venerdì 26 febbraio 2010

MA SAVIANO NON E' PASOLINI

Premetto che sono un grandissimo ammiratore di Roberto Saviano.
Pur essendo uno di quelli (pochissimi, a dire il vero) che non ha letto Gomorra (l'ho cominciato però, abbandonandolo non so ancora perché), leggo avidamente ogni suo articolo e, dove e quando posso, seguo ogni suo intervento registrato, in tv o su internet.
Detto questo, devo ammettere però di aver trovato il suo pezzo pubblicato da Repubblica oggi, titolato "Clint non sbaglia un colpo, Mandela neppure", brutto e pleonastico.
Provo a spiegare perché.
E' evidente che Saviano rappresenti oggi l'unica "forma" accettabile di intellettuale esistente in Italia.
In un paese dove lo scrittore più bravo va a fare l'isola dei famosi e gli uomini che potrebbero (condizionale d'obbligo) riuscire a fare davvero opinione si contano sulle dita di una mano (ad essere ottimisti), di fronte ad una figura come quella del giovane scrittore meridionale non la si può pensare diversamente (ed è sorprendente che Saviano abbia appena compiuto trent'anni, aggiungerei!).
Questo, ovviamente, dovrebbe però quantomeno farci riflettere.
Invece di perderci e sorprenderci tra le parole del giovane scrittore colto e raffinato dovremmo soffermarci un attimo a riflettere sulla situazione attuale, sulla nostra contemporaneità fattiva, sul mondo (la vita) che stiamo vivendo.
E percepire davvero il vuoto pneumatico che ci avvolge e la pochezza culturale che abbiamo raggiunto.
Perché Saviano, purtroppo, non è Pasolini.
Ma non è nemmeno Calvino o Vittorini.
Tornando all'articolo, Saviano parla di Invictus, l'ultimo film di Eastwood.
E lo fa pretestuosamente perché del film parla poco (e male) e per il resto dell'articolo tratta temi (credo) come l'appartenenza alla nazione ed il razzismo (di ritorno).
Che Saviano sia particolarmente nazionalista è ormai più che evidente.
Ma che non sia un vero conoscitore (nonchè appassionato) di cinema è una piccola novità sorprendente e lo si evince chiaramente da questo articolo.
E allora la domanda è: perché?
Perché Saviano dovrebbe parlare di un film senza avere i mezzi cognitivi (enciclopedici e culturali totu court) per parlarne?
Una cosa è lo spunto o la citazione en passant per parlare d'altro, un altro conto è (provare) a scrivere una recensione di un film senza avere i mezzi per poterlo fare.
E qui rientra il parallelismo con Pasolini, non certo casuale, perché l'autore di Petrolio quando trattava qualche argomento lo faceva sempre con cognizione di causa (andatevi a leggere i suoi articoli su Tempo, giusto per dare un'idea) e di cinema, per esempio, se ne parlava era solo se ne aveva conoscienza (tanto è vero che divenne un regista fenomenale dopo essersi avvicinato alla Settima Arte per motivi prettamente epistemologici).
Una volta, evidentemente, funzionava così.
Oggi invece, se un quotidiano come La Repubblica permette a Saviano di scrivere un pezzo del genere è perché tutto ci è ormai alle spalle.
E' solo e semplice superficialità.
Qualunquismo contemporaneo.
E fa molto male quando te ne rendi conto.

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